Solo un problema di identità

Solo un problema di identità

giovedì 18 novembre 2010

La riforma Gelmini non è poi tanto diversa dal Kalashnikov dei Talebani.

In Cambogia i Khmer Rossi trucidarono tutti gli insegnati del paese, chiusero le scuole, cancellarono ogni forma di istruzione di qualunque grado, soffocando la nazione nella più brutale ignoranza. Chiaramente, ai figli dei dirigenti del partito fu comunque garantita la migliore istruzione possibile...

In Birmania accade più o meno lo stesso. La giunta militare birmana non ha sterminato la classe insegnante, tuttavia il sistema scolastico birmano è praticamente inesistente, mentre i figli degli alti ufficiali hanno accesso all'istruzione privata.

In Afghanistan i Talebani non hanno nulla di meglio da fare che sparare alle ragazzine che vanno a scuola: una bimba istruita è una bomba ad orologeria...

In Italia, beh nella nostra civilissima nazione, questi semianalfabeti che ci governano stanno facendo di tutto per cancellare l'istruzione pubblica, tagliando i finanziamenti alle scuole statali e finanziando le scuole private. Le scuole private, per definizione, dovrebbero essere private e competere nel "libero mercato dell'istruzione" (si parla tanto di rivoluzione liberale no?) con la scuola pubblica, senza alcun  finanziamento pubblico. Questo vorrebbe una mente veramente liberale, ma l'Italia non è un paese liberale; qui si fa tutto per accontentare questi piccoli potentati economici, serbatoi elettorali, a discapito del bene comune.
E la sinistra ha le sue colpe, inutile nasconderlo: i governi di sinistra per primi hanno aperto una falla nel sistema dell'istruzione pubblica, falla che col tempo si è aperta a dismisura.

La nostra classe politica ha sempre trattato dell'istruzione pubblica come di un feudo delle politica, senza preoccuparsi di rendere il sistema scolastico italiano robusto, competitivo, efficente e, soprattutto, veramente  accessibile a tutti.

La riforma Gelmini non è poi tanto diversa dai Kalashnikov dei Talebani.

martedì 16 novembre 2010

Sindrome di Babele.

Ovvero il bisogno compulsivo di imparare tutte le lingue con cui si viene in contatto.

Mi ha sempre colpito profondamente la narrazione biblica sulla nascita delle lingue della terra, non riesco infatti ad immaginare una punizione peggiore per il genere umano che quella che dio avrebbe inflitto agli uomini, mescolando le lingue, rendendo la comunicazione se non impossibile, quanto meno complicata.

Perchè la lingua disegna l'identità di un popolo, la sua capacità di pensarsi e di analizzare il mondo. La lingua disegna i confini dell'esperienza umana, traccia i limiti del territorio, identifica colui che è straniero...

Una lingua povera (come l'italiano parlato dalla maggior parte dei nostri connazionali) è espressione di un paese culturalmente debole. E mi viene spontaneo pensare che chi oggi esalta i dialetti locali (bellissimi, certo, ma pur sempre manifestazioni linguistiche estremamente limitate) viva in un mondo microscopico. La logica dell'énclave così come l'esasperazione dell'identità locale, sono i segni evidenti di un paese che sta soffocando nei propri confini.

Solo il pesciolino di Babele ci può salvare!:-)

mercoledì 13 ottobre 2010

Cambogia

Un ricordo d'infanzia: un documentario RAI sulla dittatura dei Khmer Rouge, era il 1986. Sullo schermo passavano immagini raccapriccianti del campo di sterminio di Tuol Sleng (S-21), il luogo infame in cui migliaia di persone avevano trovato una morte orrenda. Tra questi centinaia di bambini come me, bambini torturati e uccisi perchè “nemici del regime”.
 La disperazione che provai di fronte a quelle immagini non è mai scemata. Com'era possibile che, dopo la Shoah la storia si ripetesse con tanta brutalità?
 Ne parlai a scuola. I miei compagni risero, la parola Cambogia era così buffa. Ma la cosa più esasperante è che neppure la maestra sembrò comprendere la mia costernazione; qualche parola di circostanza per soddisfare lo strampalato alunno delle medie.
 Il genocidio che si è consumato in Cambogia è impressionante per dimensioni (si parla di due milioni di morti), metodo e, soprattutto, per la totale indifferenza dell'occidente.
 Nonostante, dopo la “liberazione” del paese ad opera delle forze Vietnamite, fosse oramai chiaro cosa fosse successo in Cambogia, il governo dei Khmer Rossi è sempre stato riconosciuto come legittimo e ha potuto avere la sua bella rappresentanza presso le Nazioni Unite. Un po' come se la Germania, alla fine della seconda guerra, avesse potuto mantere un governo nazional-socialista e sedere presso l'ONU.

Oggi la Cambogia è una democrazia fragile, governata dall'immortale Hun Sen (ex-Khmer Rouge, poi passato alle formazioni filo-vietnamite), che sopravvive all'ombra dell'immensa Cina, del nemico-amico Vietnam, che litiga con la vicina Thailandia... Un paese commovente, fragile, devastato, che sta rinascendo a fatica e su cui il secolo passato ha sfogato tutta la sua violenza.

Sabai Kampuchea!